“APPENA SI FIRMA LA PACE CON GM, LUCA VA VIA DA TORINO”, QUNDI SI QUOTERA’ IN BORSA IL POLO DEL LUSSO (ALFA, FERRARI, MASERATI) - E IL RELITTO PERFETTO DI FIAT AUTO? FINIRA’ SULLE SPALLE DELLO STATO…
Angelo Curiosi per Panorama
La decisione è soltanto rinviata: ma ricordatevelo, appena si firma la pace con Gm, Luca va via da Torino”. La previsione – perentoria a dispetto della caoticità del momento – è di un “vecchio saggio” dell’industria torinese, che conosce l’interessato da trent’anni, e riguarda i destini personali del pluripresidente della Confindustria - e della Fiat, della Ferrari, della Fiera di Bologna e del fondo Charme – Luca di Montezemolo.
Montezemolo avrebbe confidato a pochissimi amici la sua determinazione a dimettersi dalla presidenza Fiat appena risolto il contenzioso con gli americani: avrebbe potuto essere questione di ore, se l’altro ieri, la General Motors, avesse accettato di pagare i 2 miliardi di euro chiesti da Marchionne per rinunciare alla “put option”, ovvero al diritto di vendere la Fiat Auto agli americani. Poiché invece Detroit, per tirare ancora sul prezzo, ha fatto sapere di voler andare in giudizio, Montezemolo resterà per ora al suo posto. Ma salvo cambiamenti di rotta, la sua strategia l’ha ormai varata.
“Quando avremo incassato quel che ci spetta – raccontano che abbia spiegato un mese fa agli Agnelli – potremo varare finalmente quel polo dell’auto di lusso, guidato dalla Ferrari e arricchito da Maserati e Alfa Romeo, che Mediobanca ci quoterebbe in Borsa in tre mesi.
Infine potremmo cedere quel che resterebbe della Fiat Auto e della Lancia, irrobustito da una buona dote finanziaria che costituiremmo col ricavato della quotazione e con i soldi degli americani, alla Finmeccanica, che ha in fondo la vocazione istituzionale di salvare l’industria metalmeccanica strategica italiana”.
Era stato Carlo Mario Guerci – forse l’economista italiano più competente sul settore automobilistico – a lanciare più di due anni fa l’idea di un “polo dell’auto di lusso italiana” che raggruppasse sotto un’unica bandiera – societaria ma anche tecnologica e stilistica – la “Rossa” di Maranello, con la sua impareggiabile immagine mondiale, e le sue sorelle minori, dalla Maserati all’Alfa Romeo e alla vecchia, cara Abarth.
Montezemolo, presidente-icona della super-iridata Ferrari non ha mai smesso di pensarci, e di parlarne pubblicamente con accenti astratti ma appassionati. Risanare le utilitarie della Fiat, con buona pace delle eccellenti Panda, Ypsilon e Punto, è invece impresa più miracolistica che titanica.
Ma ora, con quella scottante presidenza del gruppo appuntata come una medaglia di piombo sul bavero della giacca, come farebbe Montezemolo a trattare la cessione della sua creatura essendone contemporaneamente venditore e uomo-chiave?
E ancora: in quanto presidente di Confindustria, e quindi rappresentante di tutti gli industriali davanti al governo, come potrebbe negoziare il minimo interesse collettivo se fosse frattanto impegnato a trattare per la Fiat quella che quasi certamente sarà la più grossa operazione di “welfare” degli ultimi 50 anni?
Per questo, in fondo, per Montezemolo le dimissioni dal vertice Fiat sono un passo obbligato. Se non l’ha già compiuto è solo per due ragioni: la prima, che gli occorre cogliere un’occasione appropriata; la seconda, che deve proporre agli azionisti una sostituzione adeguata.
Jacki Elkann? Bravissimo, ma ancora troppo giovane. Gianluigi Gabetti? Bravissimo, ma ormai troppo anziano. Tiberio Brandolini D’Adda, il nipote «anziano» nipote di Gianni? C’è chi lo accredita come outsider.
Certo, servirebbe un altro Montezemolo. O un grande Cincinnato: come quel Renato Ruggiero che nel ’93 aveva sfiorato la vicepresidenza e che oggi, in fondo, una non lunga presidenza-reggenza negoziale col Palazzo saprebbe sostenerla con rare capacità.
E ancora:
PRENDERE O LASCIARE?
A TORINO E\' ARRIVATA L’ULTIMA OFFERTA DI DETROIT
800 MILIONI DI DOLLARI CASH, PIU’ IL 50% DELLA POWERTRAIN DI TERMOLI
MARCHIONNE, CHE VUOLE 2 MLD DI EURO, VERRA’ CONVINTO DALLE BANCHE?
Qualcosa è cambiato. Ieri, sabato 5 febbraio, è arrivata a Torino l’ultima offerta di Detroit sull’opzione put. Secondo fonti ben autorevoli della General Motors, Rick Wagoner vuole chiudere in questi termini l’estenuante contenzioso: sul piatto della bilancia Fiat, un miliardo e 300 milioni di dollari. E’ l’ultima offerta. Prendere o lasciare.
Attenzione, però. Perché il “risarcimento” per rinunciare al diritto di vendere la Fiat Aut agli americani, è così suddiviso: 800 milioni di dollari cash, gli altri 500 milioni invece “coprirebbero” il 50 per cento dello stabilimento Powertrain di Termoli – uno delle due aziende in joint-venture Fiat-Gm. Così il Lingotto avrebbe la piena proprietà di questa società che costruisce motori.
Una cifra - un miliardo e 300 milioni di dollari, suddivisa in quel modo poi - che è lontana dai 2 miliardi di euro chiesti da Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat Spa. D’altra parte, qual è l’alternativa per il Lingotto? Litigare, di brutto, in un tribunale di New York. Una litigation di queste dimensioni giocata fuori casa, che potrebbe anche durare 5/6 anni, davanti a una giuria che senza dubbi tiferà Gm, rischia di far felici solo un centinaio di avvocati americani (la tombola della battaglia legale è stata conteggiata in 50 milioni di dollari).
E adesso cosa deciderà Torino davanti al “prendere o lasciare” di Detroit? Se fosse per il presidente della Fiat, Luca Cordero di Montezemolo, che ha terribili guai finanziari a Maranello, la firma sarebbe già stata apposta. Secondo il sacro principio: pochi, maledetti e subito. E amici come prima.
Ma Marchionne, e dietro di lui la famiglia Agnelli, fino a ieri, ha tenuto un atteggiamento negoziale improntato alla più dura intransigenza. Scucite 2 miliardi di euro oppure compratevi il ferrovecchio. Ma, c’è un ma. Potrebbero scendere in campo le banche del convertendo – il quartetto del buco: Capitalia, SanPaolo-Imi, Intesa e Unicredit - ad ammorbidire la “finta” intransigenza di Marchionne e C...
E DI QUESTO CHE NE PENSATE?????????