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Pera, effettivamente, credo abbia come impegno prioritario la promozione di sé stesso.
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ma. guarda, io non so se Pera adesso frequenti i sacramenti: diversamente, le sue posizioni filosofico-cristiane sono strumentali. Sul discorso dell'identità mi riferivo all'oggetto del libro e non esprimevo una valutazione: però, in merito, ti suggerisco un interessante estratto di Jeremy Ryfkin dall'Espresso dell'altra settimana. Riesce ad esemplificare in modo direi elementare ma chiaro come sia molto più cristiana nei comportamenti l'Europa dalle chiese vuote che non l'America infervorata (dal welfare alla pena di morte, dall'ambiente al rispetto dell'altro, etcc.). Cioé, indipendentemente da qualsiasi dettato di legge, l'Europa è cristiana sulle basi della Parola: questo, anche in un'ottica di fede, è una cosa estremamente significativa. Il problema delle radici, dell'identità e delle tradizioni credo sia paradossalmente più importante per i laici che per i cristiani, cattolici in primis che, per definizione, sono universali.
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Se Zero sia gay o meno effettivamente non lo so: deve essere stata un'associazione mentale perversa: certo le apparenze in tal caso sarebbero molto ingannevoli !"
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ma guarda che era chiaro il tuo paradosso: evidentemente era meno chiara la mia comprensione di ciò. Il punto è che io credo che anche una patologia come quelle da te citate, pur essendo un indubbio limite fisico, non può mai condurre ad un approccio pietistico in quanto sarebbe offensivo. Chiarisco ancor meglio: non vedo la diversità (a livello di diritti e di dignità, in specie) di colui che è tale solo per l'abilità e, quindi, neanche di colui che ha un orientamento sessuale omo. Questo al di là di qualsiasi valutazione patologica (che potrebbe riguardare chiunque).
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eh sì, è un paragone che mi sembra regga. Il problema è anche più grave perché ormai per fortuna nessuno si vergogna di avere una determinata patologia: invece, con l'omosessualità o si fa un outing a volte eccessivo e magari volgare o ci si nasconde. Il problema credo possa nascere talvolta sicuramente dalla mancata accettazione nella società (ma questo si può discutere, vedi chi mai non accetta gli stilisti, i Platinette, gli Zero, etcc.), altre volte dalla mancata accettazione della propria diversità proprio da chi la omosessualità la vive.
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rivista così l'impostazione che dai è chiaramente condivisibile: sul progetto spagnolo, invece, ti confermo che si è cercata una forzatura al di là dei diritti civili.
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ehm, guarda caro ax, Pera in effetti, per la sua storia di filosofo e per le sue battaglie condotte fino a questo libro, è quanto di più laico si possa immaginare, ovvero un liberale classico (per quanto ciò sia compatibile col suo berlusconismo) che, prima del'impuntamento di Bossi, era destinato al Ministero della Giustizia (dove poi è finito l'ing. Castelli e ho detto tutto). In realtà, anche in questo libro, non è che Pera perda questa caratteristica: ciò che accade è che nello spesso combattuto cristianesimo vede un' ancora di salvezza per la ormai incerta ed ondivaga identità europea. In breve, è l'operazione più o meno di Giuliano Ferrara. A ben vedere, proprio Ratzinger, anche nella sua famosa omelia nella "pro eligendo pontifice", criticava la possibilità di strumentalizzare la fede in quest'ottica politica.
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dal Corsera di oggi 9-5 Relativismo, dopo il Papa il manifesto di Martini L'ex arcivescovo rilancia il dialogo. Una risposta alle teorie dei neoconservatori STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO MILANO - «Si dice giustamente che c’è troppo relativismo...». Piccola pausa. Spiegazione. Prosecuzione: «... Ma esiste anche un relativismo cristiano». Ulteriore spiegazione. E conclusione: «Quello di cui abbiamo bisogno è saper vivere insieme nella diversità». In che modo? Facendo «fermentare» le «cose profonde che abbiamo in comune, al di là delle differenze». Perché? Perché solo in questo sta la nostra «capacità di pace»: unica via per una pace individuale ma anche tra popoli, l’unica, fra l’altro, capace di «vincere anche il terrorismo». L’omelia volge al termine, e malgrado sia una messa e non un raduno laico la folla non si trattiene: cinquemila persone nel Duomo di Milano tornano per una sera ad applaudire il «loro» cardinale Carlo Maria Martini. Il quale, a poche settimane dal Conclave che ha «rischiato» di vederlo uscire Papa, prima che egli stesso convogliasse sul futuro Benedetto XVI Ratzinger anche i voti destinati a lui, lascia capire una volta di più che anche nella Chiesa possono esistere parole diverse per esprimere verità identiche. Martini parla nella «sua» Milano, dove per ventidue anni è stato arcivescovo: ma il suo pensiero resta a quella che ormai è la «sua» Gerusalemme, dove da tre anni vive. Parla a Milano, ma il suo orizzonte sono il mondo, la pace, l’umanità. E pur senza citare mai Ratzinger in modo esplicito, limitandosi consapevolmente a quel «si dice», nessuno tra i presenti in Duomo può evitar di cogliere in quel punto un riferimento (chiaro quanto basta) al discorso del Pontefice sul «relativismo» come principale male del nostro tempo: discorso che Martini si guarda bene dal contraddire, anzi. Ma esiste anche un altro approccio, ricorda, per sottolineare che dire no al relativismo non significa affatto dire no al dialogo in tutte le sue forme: «Esiste anche - ripete - un relativismo cristiano». L’occasione per parlarne, in realtà, è un momento di festa: e cioè l’omaggio che la Diocesi di Milano, a cominciare dal suo cardinale e arcivescovo Dionigi Tettamanzi, ha voluto rendere a Carlo Maria Martini per il venticinquesimo anniversario della sua nomina a vescovo decisa nel dicembre ’79 da Wojtyla e formalmente avvenuta nel gennaio dell’80. Nel luglio 2002, dietro sua richiesta, Martini aveva ottenuto da Giovanni Paolo II il «permesso» di rimettere il suo mandato in Diocesi per sopraggiunti limiti di età e potersi così dedicare ai suoi studi biblici a Gerusalemme. Ma di Milano è ancora vescovo emerito: e il suo successore Tettamanzi, nella messa solenne che Martini ha presieduto ieri sera, gli ha ceduto volentieri lo scranno principale sulla destra dell’altare occupandone uno più in basso, sul lato opposto. Che significa dunque «relativismo cristiano»? Martini lo spiega: significa «leggere tutte le cose che ci circondano "in relazione" al momento in cui tutta la storia sarà palesemente giudicata». Vale a dire il momento in cui sarà Dio a farlo, alla fine dei tempi. Perché sul relativismo il pontefice ha ragione, dice Martini senza citarlo: non è vero che tutte le verità sono uguali, che una vale l’altra. Ma «sarà allora, quando verrà il Signore, che finalmente tutti sapremo. Allora si compirà il giudizio sulla storia, e sapremo chi aveva ragione. Allora le opere degli uomini appariranno nel loro vero valore, e tutte le cose si chiariranno, si illumineranno, si pacificheranno». E fino a quel giorno? Martini va col pensiero al Medio Oriente e a Gerusalemme, il cui vescovo ausiliare Kamal Hanna Bathish ha voluto essere a sua volta presente alla celebrazione milanese di ieri. E il cardinale parla di ciò che dalla sua abitazione di Gerusalemme vede «alla finestra ogni mattina», prende quella terra «dove si è particolarmente sofferto» come un paradigma per spiegare ancora. «Quello di cui abbiamo tutti un immenso bisogno - dice - è imparare a vivere insieme nella diversità: rispettandoci, non distruggendoci a vicenda, non ghettizzandoci, non disprezzandoci. Senza la pretesa di convertire gli altri da un giorno all’altro, il che crea spesso muri ancora più invalicabili. Ma neanche soltanto tollerandoci: tollerarsi non basta ». Cosa allora? Il cardinale indica la risposta nel passo del Vangelo che ha appena commentato: «Che tra l’altro - dice suscitando il sorriso dei numerosissimi sacerdoti e prelati presenti - non è Giovanni 20 come è scritto in questo libretto bensì Matteo 28... "Osservare tutto ciò che vi ho comandato", dice Gesù. E ciò che Gesù ci ha comandato non è altro che il Discorso della Montagna: un discorso in cui parla di gioia, di lealtà, di moderazione nel desiderio di guadagno, di amore, di sincerità. Ecco: il nostro tentativo deve essere quello di fermentarci a vicenda, perché ciascuno sia portato a raggiungere più profondamente la propria autenticità, la propria verità». Fino a scoprire, conclude Martini, che alcune verità del cristianesimo - quelle appunto della Montagna - non possono non essere verità di tutti: «Di fronte a parole che parlano di sincerità, di pace, di lealtà, nessuno può dire "questo non è per me"». Paolo Foschini
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Non è proprio così in Spagna: già dicevo che non vedevo problemi alla regolamentazione giuridica: l'efebo Zapatero è andato molto + in là, puntando chiaramente ad una parificazione assoluta e compiendo proprio quello che tu non vuoi il legislatore faccia e, cioé, una scelta morale. Comunque, Stev, al di là di questo tema, dove ormai ognuno di questo forum può aver chiarito i propri orientamenti, il legislatore compie SEMPRE una scelta morale: il problema a dello stato teocratico è che adegua la legge in modo piano ad una determinata fede (giustamente hai incluso Marx), in uno stato laico democratico, invece, si tien conto di ciò che è comunemente sentito come giusto (per cui l'influenza della fede dei più è inevitabile) e, logicamente, di ciò che è tecnicamente corretto.
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serena rassegnazione significa accettazione, il resto vien da sé (comunque sto facendo gli scongiuri!): comunque, attenzione a non farsi maestri: molti progressisti a parole, di fronte ai fatti cambiano
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filmografia, mi riferivo letteralmente al cinema speso sulla materia. Temo di non essere un buon cristiano: credo che un genitore abbia semplicemente il dovere di porsi delle domande: ho tre amici gay: due hanno avuto un rapporto pazzescamente problematico con la famiglia e con la figura paterna in particolare e ciò ha influito chiaramente sulla loro personalità ed orientamento sessuale (maturato dopo i 18 anni). Il terzo è il settimo tra dieci figli tutti più che etero, quindi può essere considerato tranquillamente un omosessuale "naturale" (anche se ha cercato di farci credere che aveva una fidanzata a 1000 km finché non abbiamo aperto noi il discorso ed ha problemi di impotenza). Se sei genitore e dici sempre "che bello, che bravo" non fai bene il tuo ruolo. Comunque l'uomo, nel senso cristiano, è il gioiello di Dio (a sua immagine), tutti questi discorsi sulla colpa attengono a un cliché preconciliare che non strumentalizzerei più.
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Il cattolico che si pone come superiore non ha capito niente di ciò cui aderisce: spero conoscerai qualcuno che riesca ad essere credente e umile, cioé ad accettare serenamente il confronto senza porsi su un piedistallo. L' esempio del cristiano deve venire dai fatti, non dalle parole-.
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l'osservazione sull'adozione è corretta, l'illustre mi sa di presa in giro ma fa niente, è altro che ti ho chiesto. Contro le discriminazioni ma ancche contro la paura di dire quello che si pensa, a costo di passare per quello che non penso di essere: quanto alla "naturalità", le teorie sull'ermafroditismo originario sono appunto tali, o meglio meri assiomi come tanti. Che qualcuno che contesta il pro e contro natura sia nato da papà e mammà e non da due bravi zii mi pare sia difficilmente contestabile, il resto vien da sé..
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Però, da quel che dici, ammetterai la naturalità dell'unione tra uomo e donna, evidentemente: il problema, giuridicamente, non è quello in sé stupido della possibilità per due omo di regolare giuridicamente il rapporto affettivo: io per questo non mi strappo i capelli e, anzi, penso che lo Stato non debba tanto entrare nella valutazione del rapporto. Qui, evidentemente, la questione nasce dal secondo me assurdo proposito zapaterista (si è spinto troppo) di equiparare in pieno il matrimonio normale ad un rapporto che alla base esclude l'apertura ai figli, va oggettivamente contro natura, esclude che la famiglia venga intesa come cellula sociale di base, abolisce i termini padre, madre, marito e moglie e, ciliegina, concede il diritto di adozione (questo però non ho capito se in modo pari ad una coppia normale, cioé il figlio lo prende il primo della lista o meno). Se è vero che l'omosessualità era di grandi della storia, era l'approccio sessuale del fanciulletto greco e via dicendo, non è men vero che anche in quelle società così aperte all'omosessualità, nessuno si sognava di regolamentare tali rapporti e, anzi, gli stessi erano prodromici all'eterosessualità in società dove, per chi ha questi problemi, non c'erano pretoni a dare in testa. Nè, sempre parlando a chi ha problemi con i cristiani, mi pare che nel lontano oriente o in società primitive o nelle americhe, si siano trovate società basate sull'omosessualità o che le riconoscevano potenzialità di famiglia. Insomma, capisco il voler fare i moderni e disinibiti, ma il problema ha più di un aspetto. Preciso e ripeto comunque, per chiarezza, che ad un registro civile presso l'ente locale che annoti le unioni di fatto tra gay con riconoscimento esplicito di diritti ereditari, etcc., non sono contrario. Sul matrimonio (qualcuno ricorderà la battuta per cui il vero maniaco era chi andava sempre con la stessa) come istituto, chiunque ha studiato antropologia può confermare la sua basilarità per lo sviluppo sociale: e, ricorderà, quindi, che la monogamia è strettamente legata al concetto di certezza della prole e trasmissione ereditaria (passaggio da pastorizia nomade ad agricoltura stabile); e magari si ricorderà anche che il ratto delle Sabine pare abbia un fondamento storico nella necessità di mischiare il sangue dei Romani afflitti da patologie genetiche. Voglio dire che alcuni concetti, tipo certezza (ipotetica!) della prole, mancanza di incesti o comunque scarso mescolamento di sangue (vedi Sardegna interna) e logicamente eterosessualità, conducono a ritenere + che naturale, direi fondamentale per l'uomo e la società alcuni istituti (il ns codice prevede l'incesto e la bigamia come reati, non dimentichiamolo).
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ti commenti da solo, e il bello è che dai giudizi a a destra e manca: non rivederti non sarebbe effettivamente un dramma visto il tuo concetto di rispetto: mi sa che hai fatto le scuole dai preti
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ma nessuno di voi ricorda che già prima delle elezioni del 1976 ci fu lo "strappo" di Berlinguer e le sue frasi sul sentirsi + sicuro sotto l'ombrello Nato che quello russo ? Comunque l'invasione russa non era solo fantapolitica: era una delle varie opzioni che aveva il Patto di Varsavia: sfondare dalle linee ungheresi nel Nord-Est, dove non a caso si è concentrata sino agli anni '90 la gran parte delle Forze Armate: il piano di difesa italiano era di resistere massimo 48 ore prima del soccorso Nato: questo, sic, era il ns compito. In quest'ottica, cioé non avere proprio al confine l'Armata Rossa, abbiamo leccato il culo a Tito e dimenticato foibe fino all'altro ieri e Capodistria per sempre (che secondo il Trattato ci spettava ma poi nel '75 vi abbiamo di fatto rinunciato).
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Veramente, la ricostruzione evidenzia che la scorta (anche se uno o due agenti riuscirono a fare pochi passi fuori dall'Alfetta di scorta alla 130) non ebbe praticamente il tempo di reagire, quindi quella del riconoscimento mi pare una delle tante favole. Quanto all'ipotesi di non spargere sangue, a parte il fatto che ai br non gliene fotteva niente, è un'altra favoletta fatta circolare ma chiaramente in contrasto con la realtà: pretendere di fermare due auto e far arrendere cinque uomini, alcuni addirittura devoti personalmente a Moro, non era concepibile. D'altra parte, il comunicato n. 1 br, in cui si parlava di annientamento della scorta con annesse frasi da turbati mentali tipiche, pare che come al solito fosse stato predisposto in anticipo. No Stev, l'azione era predisposta con militare abilità per uccidere: il lato oscuro (della sparatoria, non della vicenda che ce ne sono tanti), ripeto sono alcuni dei "mitragliatori" in divisa descritta da alcuni tipo aviere o pilota e di cui non si è mai riusciti a saper nulla.
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No, Matteo. La sinistra Dc (la c.d. Base, alla cui sinistra vi era solo Donat-Cattin) vinse il congresso del 1983 con Ciriaco De Mita e, praticamente, resse fino al congresso, se non erro del 1990, quando vinse l'asse Forlani-Andreotti. E' vero invece che alcuni "morotei" si allontanarono dalla politica (ne conosco molto bene uno che ancor oggi va tutti i mercoledì dalla moglie di Moro, Nora). Tra il 1978 e l'83 vi furono Che Moretti fosse dei servizi non emerge da niente anche se è vero che è sempre stato ambiguo, ma non meno dei compari: ricordiamo che dell'ing. Altobelli, al secolo Germano Maccari (poi morto in prigione), nessuno sapeva nulla fino agli anni '90; ricordiamo che ancora non è certo chi davvero abbia usato la Skorpio (si credeva Gallinari ma adesso neanche questo è sicuro); ricordiamo che degli assalitori travestiti da avieri (o divisa simile) nessuno ha mai saputo nulla, eppure ebbero un ruolo decisivo nel non lasciare scampo alla scorta. Voglio dire che di dubbi possono aversene tanti, di certezza come quelle che elenchi un pochino meno. Ripeto che il giochino delle percentuali non regge. Forse a Roma vi fu qualche capoccia non dispiaciuto ma la sensazione di sgomento era generale, anche e soprattutto tra i democristiani: forse quegli anni non li hai vissuti o non te li hanno raccontati davvero. Quanto al Pasolini di alfaomega è una testimonianza davvero interessante: non lo conoscevo sotto quest'aspetto manicheo e mi pare che prima della morte abbia scritto cose anche diverse
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mi dispiace che non hai centrato il cuore della risposta tornando su quanto già avevi ed avevo detto. E soprattutto dimentichi che morale e diritto sono assolutamente intersecate (principio di offensività del diritto penale) per quanto possano divergere così come lo possono i concetti di legalità e giustizia. Esprimi di fatto giudizi, di fatto e morali, senza accorgertene (dove sta scritto, in astratto, che io debba usare le cinture quando, non usandole, non faccio male ad alcuno: c'è il principio della libertà che volendo si contrappone a quello di uno Stato che ti impone un comportamento che non fa male ad alcuno ma, potenzialmente, e non sempre -vedi chi resta intrappolato in auto a fuoco o nel burrone- potrebbe solo far bene a te). Ma questo non andando a fare mille esempi in latri campi (e pure l'avevo già detto). E poi glissi su quanto dicevo in ordine al processo di formazione e modifica della legge come previsto dal nostro ordinamento. Inoltre, per la Chiesa, non è un problema di vantaggi ultraterreni, ma del rispetto dei principi della vita come creata e di ordine sociale ancor prima che morale(Benedetto XVI: "uomo, non sei il frutto di una casuale evoluzione"). Rivendico insomma il diritto di ciascuno di dire la sua:tanto più se è un qualcuno che rappresenta (ancora, purtroppo per qualcuno) la più grande Fede nel nostro Belpaese.
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ma il mio era un banale esempio per attenersi alla natura del forum. Potevo parlalre di alcune privatizzazioni o normative previdenziali o anche in tema di sanità: il principio è che non vedo nulla di male se, alla luce del sole, si spinge il Parlamento verso un orientamento anziché un altro, specie se si ritiene che quello sia l'interesse generale (e non tutti partono da questo presupposto quando fanno lobbing). Ho già detto in altra sede che, infatti, secondo me sul divorzio la Chiesa sbagliava perché lo Stato regolamenta anche unioni puramente civili o basate su altri tipi di accordi con confessioni diverse. Su valori assoluti, tipo temi sulla vita etc., dove gli stessi partiti tendono a lasciare libertà di coscienza, è giusto che ognuno si batta fino in fondo perché i suoi convincimenti abbiano forza di legge: ma questo, lo ricordo, con una serie di passaggi, voto degli eletti dal popolo- giudizio di apparente o evidente incostituzionalità per cui il Capo dello Stato può rimandare alle Camere la legge- eventuale giudizio di incostituzionalità della Corte Costituzionale-possibilità di referendum abrogativo- possibilità di iniziativa popolare (o parlamentare) per nuova legge in senso contrario ed altre, che a mio avviso possono garantire ampiamente sulla reciproca libertà Stato-Chiesa. Che poi il fatto che in Italia, paese, piaccia o meno, di forte cattolicesimo e dove, di fatto, c'è il Vaticano porti a maggiori pressioni è così ovvio e naturale che mi meraviglio della meraviglia ...