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Credo che questo sia il posto giusto per discutere di questo.
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Dopo aver visto nel topic della nuova Croma questa "meraviglia": mi è venuta una curiosità incontenibile verso i prototipi, le maquette Fiat, Alfa o Lancia che poi per vari motivi non sono mai stati realizzati (come probabilmente lo sarà la 147 stile 8c). Se avete delle foto... si possono vedere? Ve ne sarei gratissssssssssimo!
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VW Passat Cross: VW Caddy: source OHIM - Home - non-commercial non-authentic reproduction Si ringrazia per la collaborazione Touareg
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La Peugeot 605, l'Alfa 164 e le altre ammiraglie generaliste anni '90: mettiamo in chiaro le cose.
nella discussione ha aggiunto PaoloGTC in Auto Epoca
Buondì. Ho fatto una roba. Alcuni si chiederanno il perché di questo topic, visto che la vettura che ne è protagonista ha avuto un'importanza piuttosto marginale sul nostro mercato, ed anche oggi non è esattamente fra le più ricordate (non per mancanza di motivi validi, ma perché... vabbè non serve spiegarlo). La ragione è questa: tempo fa siamo tornati a parlare della somiglianza fra 605 e 164, e sul momento io stesso mi sono soffermato a mettere alcuni puntini sulle i, dicendo però che la storia meritava di essere studiata meglio, anche perché fortunatamente, rispetto ad altre vetture, le notizie sulla gestazione di quest'ammiraglia Peugeot, se uno sa dove andare a cercarle, non mancano mica. Partendo quindi dal punto 0 che era la somiglianza fra le ammiraglie Alfa e Peugeot di fine anni '80, ed avendo in passato ampiamente illustrato la storia progettuale di quella italiana, ci ritroviamo oggi a dare un'occhiata a quella della rivale francese. Una cosa in comune le due ammiraglie sicuramente l'hanno: una gestazione piuttosto complicata. Anche in questo caso, infatti, è praticamente necessario andare “a prenderla da Adamo ed Eva”, per arrivare poi al punto. Altrimenti non è possibile fare la necessaria chiarezza. Sono riuscito a rimettere insieme parecchi pezzi del puzzle, e ne è uscito un racconto più esteso di quanto immaginassi in principio. Sarò quindi logorroico, e vado subito a citare la fonte principale da cui ho tratto le memorie, nonché alcune immagini, nella speranza di non offendere nessuno e di non creare problemi al forum. D'altra parte, quando si scrive di fatti d'epoca non si può far altro che ispirarsi a chi li ha messi su carta in precedenza. Il testo che leggerete, quindi, per quanto condensato e rimaneggiato, non si basa assolutamente su mie memorie o documentazioni personali, bensì sul volume “Peugeot 605” di Jan P. Norbye, edito da Automobilia nel giugno del 1990 che fa parte di una splendida collana di volumi anni 80-90 dedicati alle vetture se vogliamo più “normali” e alle loro fasi di progettazione. Ripeto, spero di non creare malumori o fare danni nei confronti di nessuno, citando questo scritto e le sue immagini. In caso contrario, rimuoverò prontamente il tutto con l'aiuto dei moderatori. Non ho alcun merito riguardo ciò che vado a raccontare, semplicemente trarre spunto da un libro è l'unica maniera per riscrivere oggi una storia vecchia di oltre 25 anni. Dunque dunque: 605 faceva parte di un programma di cooperazione fra le due Case francesi Peugeot e Citroen. In tale programma, il modello Peugeot era contraddistinto dalla sigla Z.6 e quello Citroen (che sarebbe poi diventato la XM) aveva la sigla Y.30. Il tempo per sviluppare tali modelli, dal tavolo da disegno alla linea di assemblaggio, fu di cinque anni. Però... però però però. Come nel caso dell'Alfona, c'è anche qui un “prima”. E ci tocca andare proprio a quel 1981 in cui anche ad Arese, coincidenza, stavano succedendo alcune cose che avrebbero avuto parecchia influenza su ciò che avremmo visto su strada nel 1987. La situazione finanziaria e di gamma che aveva infatti Peugeot nel 1981, sono parte integrante degli accadimenti che faranno poi da sfondo alla nascita della 605. Peugeot-Talbot aveva non una ma ben due auto sul mercato, nella fascia alta: la 604, che era stata presentata nell'estate del 1975, e l'indimenticabile Tagora, che era nata da pochi mesi, nel settembre del 1980. Appena sotto di esse, la terza vettura importante come dimensioni, la 505 che era nata nella primavera del 1979. Con la 604, Peugeot aveva commesso un errore: quello di proporre una vettura grande e potente, dal prezzo medio, che probabilmente usciva da quello che era il suo contesto di mercato. Col V6 da 2.7 litri si aggiungeva ad una gamma in cui la berlina più cara (al lancio del 1975) era la 504, modello che aveva visto nelle sue varianti coupè e cabriolet le uniche concessioni della Casa del Leone al mercato delle vetture di prestigio, valorizzate dal V6 e da disegno e costruzione Pininfarina. 604 era la più grossa vettura mai prodotta dalla Peugeot sin dagli anni Venti: costruita su un passo di 2.80 metri e con una lunghezza di 4.72, pesava 1455 kg. Le caratteristiche tecniche erano piuttosto avanzate, ma il design (frutto di un progetto a più mani con Pininfarina) le dava un'aria piuttosto datata. Aggiungiamoci poi la sempre presente, quando si parla di vetture sfigate, crisi petrolifera, e la frittata è fatta. Quando gli arabi chiusero i rubinetti, verso la fine del 1973, la progettazione della 604 era terminata e non si potevano apportare modifiche importanti se non attraverso quello che spesso si definisce un “bagno di sangue”. Andò quindi a finire che la 604 arrivò sul mercato nel momento peggiore, totalizzando (per fare un esempio) circa 95.000 esemplari prodotti nel periodo 1975-78, che pochi potrebbero non sembrare al primo impatto, ma vanno confrontati con i 300.000 esemplari di 504 prodotti nello stesso periodo. I risultati furono deludenti e di conseguenza anche il motore V8 da 3.2 litri che Peugeot teneva in serbo per una versione performante della 604 fu messo in soffitta. Nacque invece una 604TI con maggior potenza, che fu affiancata nella primavera del 1979 da una turbodiesel alimentata dal quattro cilindri 2.3 litri siglato XD2S, ma tutto ciò non fu sufficiente ad incrementare le vendite. L'Europa attraversava in quel periodo una seconda crisi energetica ed il mercato delle ammiraglie era in una fase di serio declino, che sarebbe durata per altri cinque anni. Invecchiando mese dopo mese, la 604 continuò a perdere quota, con la produzione che scese a 5.700 unità nel 1982 per crollare poi a 3.500 l'anno successivo. Nel 1979 però c'era in Peugeot un giovane e coraggioso presidente, tale Jean-Paul Parayre, che pensava di sostituire la 604 con la Tagora (per la serie “dalla padella alla brace”). Tagora era figlia di un progetto siglato C-9 che era stato avviato nel lontano 1970 (quando fai le cose con calma, vengon sempre fuori bene) al Centro Tecnico Europeo della Chrysler (vicino a Coventry) e che era finito in mano a Peugeot quando essa aveva rilevato la Chrysler francese, inglese e spagnola nel 1978. Tagora dalla progettazione divisa in due: design e progetto della scocca vennero effettuati in Inghilterra, mentre telaio e propulsore nacquero a Poissy nell'impianto che un tempo era stato Simca. Quando Peugeot decise di utilizzare la vettura C-9 per rientrare nella fascia alta del mercato, essa venne riprogettata in modo da poter utilizzare il retrotreno della 505 al posto di quello progettato dagli ingegneri Chrysler, e le sospensioni anteriori McPherson della 604 invece dei doppi bracci ad “A” preparati in precedenza, ma fu mantenuto il motore Chrysler, solo aumentato di cubatura fino a raggiungere i 2.2 litri. Tagora venne proposta anche con motori V6 e turbodiesel, ma ricevette come sappiamo un'accoglienza fredda dal pubblico, per non dire gelida. Inoltre, spulciando i dati relativi all'assistenza tecnica dei tempi, si notava che la vettura era affetta da problemi di affidabilità di non facile risoluzione. Parayre a quel punto si rese conto che sarebbe stato meglio accantonarla e proseguire con l'aggiornamento della 604, ma la verità era che lui stesso, oltre a tutti coloro che stavano al suo fianco, sapeva bene che la cosa migliore era accantonarle entrambe e ripartire da zero. Peugeot in quel momento aveva in casa il progetto di una vettura di classe superiore, codice H.9, che veniva definita in gergo una “anti-Mercedes” e che prevedeva come optional il motore V8 da 3.2 litri che tornava a farsi vivo, ma la Casa aveva iniziato a registrare cospicue perdite di bilancio. La situazione era quindi rischiosa e la scelta di sviluppare la H.9 fu accantonata sperando in giorni migliori. Nel 1983 la Peugeot SA dichiarò una perdita netta di 8 miliardi di franchi. Roland Peugeot ed i suoi consiglieri si resero conto di aver lasciato troppa libertà a Parayre, che secondo loro aveva gestito la fabbrica in modo piuttosto personale, e per questo gli misero accanto Jacques Calvet, per tenerlo a bada. Calvet era un ex-funzionario di Stato nonché ex-banchiere (il Partito Socialista lo aveva appena estromesso dalla carica di Presidente della Banque Nationale di Paris), e fu inserito nell'organigramma aziendale in maniera piuttosto anomala e decentrata rispetto alle normali gerarchie. Dopo alcuni mesi fu messo a capo della Peugeot Divisione Automobili, occupando lo stesso ruolo che aveva Jean Baratte nella gestione Citroen. Non tutta la gestione Parayre fu però avventata e criticabile: occorre dargli onore e credito per aver spinto con tutte le sue forze il programma 205 che sappiamo bene cosa significò per la Casa francese. Tuttavia, egli fu incolpato di essere il responsabile delle gravi perdite finanziarie che gravavano sugli ex-stabilimenti Chrysler, e da lì in poi non ebbe vita facile anche a causa della personalità di Calvet che ne minava l'autorità. Il tutto si concluse con le sue dimissioni, nel settembre del 1984. Calvet divenne amministratore delegato del Gruppo e nel 1985 la casa del Leone tornò in attivo. La produzione delle due vetture d'alta gamma venne interrotta (prima quella della Tagora, poi quella della 604). Nel frattempo la 205 era diventata il modello più venduto, ma i guadagni maggiori si facevano con la vendita delle 505. La 505 era in pratica una 504 rivisitata sotto il profilo stilistico: una mossa azzeccata perché con il contributo di Pininfarina, Peugeot si era dotata di una vettura di prezzo medio con un look completamente diverso, il tutto con investimenti tutto sommato contenuti. Di proporzioni classiche, aveva comunque un aspetto elegante e moderno. Rispetto alla 504 era stata perfezionata nell'aerodinamica, nell'insonorizzazione e nella tenuta di strada. Alla sua nascita le rivali più serie erano la Renault 20 TS, la Ford Granada, l'Opel Rekord, l'Audi 100, la Volvo 244 e.... la Fiat Argenta (capirai che paura....). Inserita tra 504 e 604 nel 1979, non sostituì immediatamente la prima delle due, che rimase in produzione nella sola versione con motore 1.8 e assale posteriore rigido. Le sue vendite tuttavia furono lente a decollare, forse perché la 504 si vendeva ancora parecchio. Col tempo, comunque, la 505 dimostrò di avere una buona tenuta sul mercato. Nel 1985 lo stabilimento di Sochaux ne sfornava ancora oltre 530 esemplari al giorno, e tra l'aprile del 1979 ed il giugno del 1985 ne furono costruite ben 845.000. In quella prima metà degli anni '80, comunque era evidente che sarebbe stato necessario trovarle un'erede. Le sue vendite erano minacciate da quella che si chiamava Renault 25, ed i vertici Peugeot avevano già deciso che la parte medio-alta della gamma sarebbe stata presidiata da due modelli. Al livello inferiore si sarebbe posizionata la D.60 (che abbiamo poi conosciuto come 405) e in quella superiore il progetto H.2, che avrebbe sostituito la 505 oltre a coprire il vuoto lasciato dalla 604 (non distante da quanto fece Alfa con 164 che coprì il vuoto di 90 e quello della 6). La progettazione della piccola, la D.60, ebbe inizio il 15 ottobre del 1982, ed il disegno della carrozzeria, definito dalla Casa stessa “con forti connotazioni Pininfarina” terminò nel maggio del 1984. E qui interrompo il racconto, per arrivare al punto che avevo sottolineato tempo fa. E' la 405 la Peugeot a nascere in tempi “più o meno” allineati a quelli della 164, e se il carrozziere torinese deve essere “incolpato” di aver disegnato due vetture simili, il confronto va fatto tra l'Alfa e la media Peugeot, non con la grande. In questo momento la 605 non è affatto una realtà. Tanto che alla fine, l'onore di aver mostrato al pubblico un certo design andrebbe alla Peugeot, che arriva sul mercato prima dell'Alfa, ma sappiamo che dietro le quinte questi discorsi valgono poco. Ma torniamo alla storia: 405 disegnata e congelata nel 1984, su pianale di derivazione Citroen BX. Con l'obbiettivo di entrare nella fascia di mercato della 305 giocando un poco al rialzo, ebbe una buona accoglienza sia in Francia che in Europa, mentre le cose le andarono parecchio male in America (eh si, non tutti ricordano che la 405 fu proposta anche “di là”), essenzialmente per due motivi: il primo fu che la Casa non ebbe le capacità di presentare la vettura al pubblico americano nel modo adeguato, ed il secondo, il più importante, fu che la media Peugeot si trovò nel bel mezzo di un mercato in cui la guerra fra le cinque più importanti Case giapponesi era già iniziata. Passando alla sorella maggiore, la H.2, essa nell'immaginario degli uomini Peugeot era in pratica un ridimensionamento di quella grande H.9 che era stata accantonata anni prima, nel periodo difficile. L'idea rimaneva quella di attaccare Mercedes dal basso, ma a quel punto c'era di mezzo anche la Citroen perché la sua CX (datata 1974) era ormai anzianotta. Ottimo si rivelava in quel frangente il progetto del pianale di H.2, impostato con l'idea di una grande versatilità che avrebbe permesso di avere due modelli con due differenti tipi di trazione, anteriore e posteriore. Se era impensabile infatti che Citroen realizzasse una nuova ammiraglia mettendo da parte la trazione anteriore, era altrettanto certo per gli uomini Peugeot che la nuova “grande”, spaziosa e ben dimensionata, dotata anche di motore 3 litri, avrebbe dovuto spingere con le ruote posteriori. Vedere, col senno di poi, che la 605 arrivò sul mercato con la trazione anteriore, ci fa pensare che le idee degli uomini Peugeot non siano sopravvissute a quella lotta rappresentata dalle mille discussioni che si fanno all'interno di un'azienda prima di decidere come impostare un nuovo modello. Fu in questa fase di processo dialettico che la H.2 si trasformò nel progetto Z.6, che poi noi abbiamo conosciuto come Peugeot 605. Da H.2 a Z.6, quindi: fatti alcuni cenni riguardo la gestazione di 405, ritorniamo al 1983 ora per vedere le prime mosse dell'evoluzione progettuale della “grande”. A quei tempi, nessuno sarebbe stato in grado di prevedere cosa sarebbe stato il mercato nella fascia più alta, nel 1990. Per Peugeot era quindi una scommessa puntare, come si pensava, molto più in alto della 505. La variazione prevista, per quanto riguardava peso e dimensioni, non doveva superare il 12 per cento, ma per quanto riguarda le prestazioni, si voleva che la H.2 avesse in dote potenze superiori anche del 200 per cento rispetto alla 505. Una vettura importante, quindi, il cui prezzo avrebbe subito una decisa impennata rispetto a quello della vettura in listino a quei tempi. Così ricordava Michel Forichon, responsabile dell'Ingegneria di Progettazione del gruppo Peugeot: “Volevamo un'automobile che avesse una base di tecnologie avanzate e fosse percepita dal pubblico come un modello di classe superiore, invece di partire da una vettura di classe media e perfezionarla successivamente fino al punto che potesse reggere il confronto con le altre vetture di classe superiore.” Quando l'auto prese forma, le ambizioni in Peugeot crebbero ancora: fu abbandonata l'idea di preparare una vettura che consentisse alla Peugeot di riconquistare la sua posizione nella fascia delle ammiraglie e si decise di puntare senza se e senza ma ai vertici del mercato. “La migliore soluzione è a malapena sufficiente” divenne lo slogan per le persone a capo dei vari settori del progetto, e l'ossessione per l'eccellenza qualitativa divenne un chiodo fisso per tutti coloro che erano impegnati nella creazione e nello sviluppo della vettura. Gli avvenimenti successivi dimostrarono che avevano ragione a puntare in alto: la 605 arrivò in un momento in cui il suo segmento di mercato era effervescente. Era la fine del 1989 e due anni prima tale fascia di mercato aveva fatto registrare un boom delle vendite. A lato di questa considerazione, è necessario farne una seconda che guarda ciò che stava accadendo all'interno di Peugeot, riguardo le tipologie di prodotto e le loro comunanze. Facendo un passo indietro, ai tempi in cui s'era iniziato a disegnare la 205, l'idea industriale era stata quella di dare la massima priorità al rinnovamento dei modelli prodotti in grandi volumi, mentre si era preferito sospendere la produzione di quelli marginali. Le versioni “speciali”, infatti, erano state affidate a Heuliez (ambulanze), Chausson (furgoni) e Dangel (4 ruote motrici). Questo perché... nel 1980 il gruppo Peugeot produceva 10 linee completamente diverse di auto, senza componenti standardizzati, e aveva otto motori completamente diversi fra loro (alcuni dei quali forniti a loro volta con diverse dimensioni e comprendenti, in alcuni casi, anche il diesel). Al lancio di 605 le linee di auto erano nove ed i motori sette. Sul piano dei numeri non sembrava un grosso passo avanti nella standardizzazione, ma quello che i numeri non dicevano era che l'impiego dei componenti comuni si era imposto a tal punto da stravolgere completamente la struttura industriale del Gruppo. Avendo quindi in casa lo sviluppo delle nuove “grandi” Peugeot e Citroen, la tentazione di abbinare l'erede di CX (ricordiamo, Y.30-XM) alla H.2 era irresistibile per i vertici aziendali. Entrambe le case avevano ovviamente nel cassetto delle idee per le nuove vetture, ed assieme a loro dovevano risolvere i problemi di sviluppo dati dalla voglia di arricchire i nuovi modelli incrociata con l'inadeguatezza delle basi su cui erano costruiti quelli a listino in quel periodo. Per dirne un paio, Peugeot voleva mettere da parte lo chassis della 505, ormai inadeguato, e Citroen desiderava fare altrettanto con la struttura della CX, inadatta ad ospitare il V6 che sicuramente la nuova ammiraglia del double chevron avrebbe dovuto avere per giocarsela ad armi pari sul mercato europeo. L'attività di progettazione comune ebbe quindi inizio, e nel settembre del 1984 i Centri Stile Peugeot e Citroen (insieme ai loro consulenti ITALIANI) ricevettero l'ok per andare avanti con le proposte stilistiche. I disegni in scala 1:1 furono completati per entrambe le marche in quattro mesi, tenendo conto anche di possibili versioni a quattro ruote motrici. Facciamo un altro punto della situazione. Settembre 1984, iniziano i lavori. Riassumendo, 164 esiste già, 405 pure, 605 inizia il suo cammino progettuale in questo momento. Fine prima parte.- 181 risposte
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Ciao a tutti Incuriosito dalla vostra rubrica Mai Nate, mi chiedevo se qualcuno potesse fornire anedoti interessanti (foto muletti, maquette, interviste, dietro le quinte) che portarono alla nascita della 1° Punto nel 1993 (magari anche muletti del CAbrio)!!! Grazie
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Dato che qualche Audi mai nate c'è, è giusto aprire un thread apposito. Ne parlai qualche mese fa nell'apposito thread della V8.. Ne venne costruita una versione Avant, che appunto non entrò mai in produzione. Questa invece è l' Audi Auto 2000 Concept Campione di consumi, che darà spunto alla "futura" Audi 100 (Tipo 44)
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FSM Beskid 106 1982-1986 Prima di essere assorbita completamente della Fiat venne presentato un prototipo monovolume molto simile alla Renault Twingo che avrebbe dovuto sostituire la 126p chiamata Beskid. Avrebbe dovuto essere una vettura economica il cui progetto era curato dalla BOSMAL Automotive Centro Ricerca e Sviluppo nel periodo 1982-1986. L'auto non è mai stata prodotta per motivi politici. Inoltre l'idea era quella che la vettura sarebbe stato un progetto alternativo se i colloqui di licenza con la Fiat non fossero andati a buon fine. Inoltre la Fiat stava già producendo i primi esemplari di Cinquecento. Tutti e sette i prototipi Beskid avrebbero dovuto essere distrutti, ma tre sono stati salvati. La BOSMAL non aveva i fondi necessari per l'estensione del brevetto del monovolume. 10 anni più tardi fu proprio la francese Renault Twingo ad utilizzare un layout molto simile, anche se i funzionari della Renault negano qualsiasi influenza diretta (si dice che Citroën AX aveva forma simile nei suoi primi schemi). Il corpo della vettura aveva un coefficiente di resistenza aerodinamica di 0,29 (uno dei migliori per l'epoca), che portava un risparmio di carburante di circa 3,9 l ogni 100 km ad una velocità di circa 90 km/h (la cilindrata era di 594 centimetri cubi, con potenza massima 20,6 kW (28 Cavalli)). Il nome deriva dalle montagne Beschidi. https://majewskiauto.com/index.php/2017/01/05/polskie-motoryzacyjne-prototypy-ktore-nigdy-nie-weszly-do-produkcji/ https://www.sadistic.pl/fsm-beskid-106-zostaly-tylko-marzenia-vt154677,30.htm#comments
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BMW iniziò nel Luglio del 1981 a pensare ad una nuova grande sportiva, destinata a sostituire la Serie 6 E24 presentata cinque anni prima, ma con l'intenzione di alzare l'obiettivo verso un livello decisamente più alto. L'idea fu discussa a lungo, perché l'opportunità di investire nello sviluppo di un prodotto del genere, era ovviamente una decisione controversa. Nel 1984 finalmente venne approvato l'avvio del progetto, denominato E31. Partiamo allora con i primi disegni proprio del 1984, buttati giù da quello che sarà considerato il padre dello stile esterno della Serie 8, Klaus Kapitza, designer che aveva raggiunto BMW all'inizio di quell'anno, proveniente dalla Ford tedesca. Sono disegni alcuni più immaginifici, altri più concreti, ma presto si delinea la direzione stilistica: Questa vista di coda qui sotto, è anch'essa del 1984 ed è interessante perché già suggerisce un'idea molto vicina al tema stilistico fondamentale di quella che sarà la Serie 8: Infatti verrà ulteriormente sviluppata in una varietà di proposte con una serie di numerosi disegni del 1985: Il tema dei fari ad L, variamente interpretati e ovviamente ispirati alla E32 ormai già definita, non fu però l'unica opzione messa sui tavoli da disegno, anzi... Ovviamente anche sul frontale si studiarono varie idee, con e senza fari a scomparsa, ma dove il tema del doppio rene integrato nel rilievo del cofano, sembra già consolidato: A questa ampia raccolta di disegni di Kapitza, aggiungiamo ora un paio di tavole di un altro designer BMW, quel Manfred Rennen che abbiamo già citato nella design story di Serie 5 E34. Purtroppo i disegni non riportano l'anno; un po' rigidina e decisamente più tradizionale, forse poteva essere una credibile erede nel solco della Serie 6, ma le sarebbe mancato quel fascino avveniristico della Serie 8 poi uscita. Parallelamente si lavora anche sulle idee per gli interni: Non riesco a decifrare la firma di questi disegni, ma gli interni della Serie 8 E31 furono l'ultimo progetto su cui lavorò di prima mano Hans Braun, il progettista principale delle più famose plance BMW degli anni '80, ma prima ancora di quella che può essere considerata il punto di riferimento più credibile dell'intero progetto E31, la Porsche 928. A tal proposito, credo sia interessante un confronto diretto tra le plance delle due GT: ci sono 12 anni di distanza, ma valutate voi... Tornando agli sviluppi, nel 1986 il team guidato da Claus Luthe lavora alla preparazione delle maquettes: E qui un'ulteriore maquette in lavorazione e poi finita, con ulteriori dettagli sempre più vicini al modello finale: E' sostanzialmente questo il modello di stile congelato nello stesso anno 1986, quando parte la fase di industrializzazione e nel 1987 vengono realizzati i primi prototipi marcianti. La presentazione del modello definitivo avvenne nell'Agosto del 1989 in anteprima all'interno di BMW, per poi essere esposta al pubblico al Salone di Francoforte nel Settembre dello stesso anno.
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Da Auto&Design: schizzo molto bello: Fosse stata così, l'avrei presa al volo! Questa invece la versione pre-Chrysler, secondo me il cofano era migliore in questo modo
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vorrei spezzare una lancia in favore della punto seconda serie. Certamente la meno riuscita a livello estetico, però portava con se un trattamento delle superfici estremamente complesso e raffinato per l'epoca e direi anche per gli standard moderni. Basta osservare il giroporte, che è composto da una nervatura tridimensionale (vedere foto sotto), o basta guardare certe pieghe e tagli della carrozzeria, che sono realizzati veramente molto bene. Inoltre si distingueva anche per i giochi estremamente ridotti fra i pannelli della carrozzeria e la precisione con cui erano assemblati. Credo che molte auto di oggi nel segmento B siano inferiori come qualità dei lamierati esterni, rispetto alla punto seconda serie. Peccato solo che il design complessivo dell'auto fosse molto più banale della versione precedente e di quella successiva.
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From the successor to the 550 for the 1970s to a draft that actually looks quite different? Quite different! This is already apparent in the second draft, which I find sensational. This one looks almost American-inspired. The fourth model isn’t really modern at all, and then we come to this one (note: the Model 5, Klie). The back in particular is very modern for that time and the point in the sequence. It looks clean, neat. That fits the bill. That’s why I’m surprised that the May 1966 draft (note: the Model 2) was also created by F. A. Porsche, because it doesn’t really fit with his design philosophy. If we look at the first model from 1964 and compare it with the development two years later, it doesn’t have the characteristics or appeal of the basic 550 concept at all. The result is comparable with the development from the 356 to the 911. That was an incredibly courageous step back then – the new model had that modern factor. The 914 Model 3 is just starting to get precisely that modern factor. Even if you look at these front lines, these clear surfaces. Good proportions. The July 1966 draft is quite different, and more suitable for the Model 2. Two competing drafts which were then discussed. At that time, in my opinion, they made absolutely the right decision and went for the much more modern design. The first drafts are clearly different, then one builds on the other, and the others are created by two different designers at the same time. Designers who ultimately end up working on the same project talk to one another. To compare it with what we’re doing today, this phase is similar to the development of the Panamera. At that time, we knew what we wanted, the concept was there, and we basically came up with two variants. One like this, the other like that. And as you can see from the 914 models, people work side by side. They inspire one another, they influence one another in their work. You end up looking across the room, and thinking yeah, I like that. And you incorporate it. Admiration and distance: Mauer makes no secret of the fact that, from a designer’s point of view, the 914 is not one of his favourites. And yet he admires its purist approach. The 914 of 1969 is a real mid-engined Porsche. Even though it looks very different to the 911. Are elements such as the Targa bar a way of formally demonstrating a common family bond? A mid-engined sports car is indeed a typically Porsche thing. At the time of the Auto Union, the competition still began with a front-mounted engine, and Porsche developed the first mid-engined racing cars. The 356 “No.1” Roadster is a mid-engined car, too. This had to be changed in favour of mass production capability. Given this background, Ferry Porsche’s idea is understandable – okay, let’s make another of those robust entry-level models. The mid-engine is the right concept for things like that. The Targa was created as a solution for the safety issues and the new regulations from the US. Actually, a minimal roof is really all you can have with an open, reduced, minimalist concept familiar from the 550, or perhaps the Speedster as well. But if the new legislation no longer allowed this, the way forward was clear for the 914. We ourselves had already come up with a good solution for combining top-down driving and safety – the Targa bar. After all, the concept was to combine the idea of “top-down” and “safety”, and now we had to make it modern! The final design is characteristic of the styling philosophy under the direction of Ferdinand Alexander Porsche. This common ground almost automatically led to the creation of a brand identity. Although that certainly wasn’t the actual intention. Does the concept set the course for the design? That’s how I see Porsche to this very day. First, we ask ourselves – what would be the best concept? Entry-level, reduced, sporty. When it comes down to it, what do I really need if I’m going to have fun driving? A mid-engined car, obviously. And then transferring the formal characteristics is a logical next step. To create a car with particularly attractive proportions on account of the engine position. The 914 has typical mid-engine proportions, that has to be said. I don’t know whether there was anything comparable, especially not in those days. Typ 914 The first model of the Type 914 was designed by Heinrich Klie, 1964. The second model of the Type 914 was designed by F. A. Porsche in 1966. The third model of the Type 914 was desgined by F. A. Porsche in 1967. Brief designations masking a long period of development. The Epple design points the way to the March 1967 model, which already bears many of the features of the final 914. Klie’s draft is already clearly recognisable as a 914. Should it be easier for people to place their elbow on the lowered doors? Just a few months after Klies’ groundbreaking design, the shape of the Porsche 914 was clear. A functional, smooth-surfaced car with space for two and their luggage – and with a Targa roof, just for fun. The little clay model was turned into a life-size design. Slowly the team made their minds up: they were heading in the right direction, the mid-engined car project just went on improving. A question about the schedule: the first model dates back to 1964, but the 914 wasn’t available on the market until 1969. Is that fast? What’s the situation today? With the new 911, which we presented at the end of 2018, it took about four years from the very first sketch to market launch. In this case (note: the Type 992) this is a further development, not a completely new development. But the 914 was. It started in around 1964 and market launch was in 1969, so five years. That’s pretty impressive! Things went incredibly quickly, especially between 1967 and 1969. That’s really shifting some. Details such as the front, especially the headlights, were the subject of long discussions. Twin headlights or single headlights, that was the question. The version with the pop-up twin headlights was formally the more coherent. Especially if we remember what things were like in those days. Such concepts in 1965, 1967 – crazy. From my point of view, the question of philosophy is an interesting one. The 911 had the single round headlights, but the cheaper car was supposed to have twin headlights? That wasn’t logical. But the drafts were already state-of-the-art. After testing a series of design variants, the 914 turned up with lifted wings and striking indicators. That fitted in with Porsche’s guiding edge philosophy. This describes the orientation available to the driver thanks to the wings in the outer area, where the car is straight. At Porsche, this theme comes from the 911. If you’re on a mountain pass in a 911, it’s a real help. In lots of other sports cars, all you can see is the window, not where your car ends. These distinctive wings provide orientation when you’re sitting in the car. This is implemented in the 914, too. I don’t know whether the issue of brand identity, what we now call “movement over the bonnet”, was already playing a role at this point. Probably not. Conversely, a few years ago the Panamera wasn’t about forming a guiding edge, but about transferring the brand identity. In this case, the one that has established itself over the 911, on a vehicle designed for a completely different segment. As difficult as this is when the engine is at the front, it was clearly a stylistic element with the aim of transferring the brand identity. The shapes of the side line and rear were finalised more quickly than the front. There was a great deal of discussion on the arrangement of the headlights. But the concept of individual pop-up headlights with spotlights in the bumper ultimately prevailed. The 914 has an astonishingly good cd value of 0.37. Even with the headlights popped up, and with no complex computer simulations. Does today’s technology limit human design influence? Despite all the simulation and modern technologies, I believe our creativity isn’t limited. Just like things were in the 1960s. The lads in those days did of course have a basic understanding of things like what works well aerodynamically and what doesn’t. Today, we know that having indentations in front of the wheels and strong indentations at the back is the worst thing when it comes to the aerodynamics. If you look at the brutally straight layout of the 914, it’s the answer to the search for an extremely modern shape. In that case, it’s likely that the aerodynamics worked quite wonderfully from the aspiration to make a very modern car. Surely the result was no coincidence – there were enough people at the company who knew right from the outset exactly what works and what doesn’t. And without today’s simulation methods, too. In the old days, engineers were designers as well. How many technicians does a designer have to be today? You have to have a basic understanding. If you want to achieve certain things, you can’t do that without a basic knowledge of what you’re doing. Because without that, we wouldn’t be able to argue against the classic technicians if there was any doubt. What are your own personal thoughts on the shape of the 914? I still find the car whimsical, but the picture changes as you look at it more closely. I haven’t really been intensively involved with the 914 to date. From what we’ve been saying over the past hour and the fact that I was aware when it came into being, I’ve come back to the point where I think the car was modern. It’s impressive to see how the car stands out in its era. It wasn’t even on my radar before. The car has almost no layout, this middle bit is extremely consistent. To have the courage to design something like this, so big but without a swage line, without fashioning everything – that’s really fantastic. I think the tail is really good. The process up to that point is fascinating from today’s point of view, too. I must confess, I’m still a bit reluctant when it comes to this car, but for me the performance of the time outweighs everything. Coming up with something like that. And there’s the detailed solutions, too: the wide headlights are superb. Or the door handles, minimalistically integrated. Completely new for Porsche. I find it fascinating how F. A. and his team managed to bring in this modern, reduced style, in a similar way to the transition from the 356 to the 911. The more I work with the 914 – that’s exactly what I’m fighting for now. This reduced, puristic approach. Integrating things, not one line too many. Typically Porsche: Michael Mauer remembers the 356 “No. 1” Roadster, which founded the Porsche brand with its mid-engine. The 914 took up this philosophy again. Is there a future for the 914? Or does it at least provide inspiration? We have this discussion all the time. It’s all about the entry-level Porsche. I think it’s very interesting, but opinions differ on the characteristics of a vehicle like that. Porsche is probably the only brand that could allow this in an unusual way. An entry-level Porsche not in terms of the price, but the sense of reduction. A car with almost no electrics, everything mechanical, puristic. I find the idea exciting. The other one is a car for a target group of people who drive Audi TT RSs or Golf R32s. A Porsche that stands out offering what would have to express exactly that, in formal terms – a very simple, unpretentious car. A modern 550 in the broadest sense. Limits in terms of dimensions are reached quickly, simply because of driving safety. This automatically requires cars to be a certain size. Sales might see things differently anyway. From this standpoint, a much cheaper entry-level Porsche would be the right thing to do – but that’s not my approach. Puristic, reduced, “back to our roots”. I think the time has come. That would be typically Porsche again. via Porsche Ammetto di avere sempre avuto un debole per questo sgorbietto ?.
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Messaggio aggiornato il 20/08/2015
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In base a quanto si legge in questo sito brasiliano: Best Cars Web Site - História em Movimento - Fiat Uno questa è la successione di proposte di stile presentate alla fine degli anni settanta per l'auto che avrebbe sostituito la 127, cioè la mitica Uno: 1) 2) 3) 4) 5) C'è da dire che l'ipotesi n.2 è certamente attendibile, in quanto 4R nel numero di Marzo del 1980 aveva pubblicato una ricostruzione del tutto identica, ma relativa ad una versione 3p. Forse è stato un bene che abbiano cassato queste proposte...
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Fiat FCC4 sketches Sources: http://fmullerdesign.blogspot.hu/2015/04/fcc4.html http://www.automobili.ru/themes/design/elegant-like-a-pickup-truck-fiat-fcc4-concept2014/ pinterest.com FIAT Toro design story Source: http://www.carbodydesign.com/2016/04/fiat-toro-design-story/ Fiat Toro: design story Fiat, Toro Automotive Design , Production Cars 14 Apr 2016 – carbodydesign.com Launched early this year, the Fiat Toro is a multifunctional vehicle, combining the qualities of a SUV, a pickup truck and a passenger car. Targeted to the Brazilian market, the pickup is 4,915 mm long, and has a double cabin 4-door pick-up truck configuration, and is based on the group’s modular and flexible Small-Wide platform. In this case the platform has been extended to generate a greater body, with load bay, forming a reinforced self-supporting structure, with extensive use of advanced materials, such as high-strength steel. The design was developed in Brazil at Fiat Latam, and targets a global audience by offering a bold and imposing yet modern look. Read below more details on the design, or check the extensive gallery of design sketches and photos of the design team and the design process. Concept The original brief was to combine agility, functionality, robustness and comfort, concepts that seems to be antagonistic. The designers at the Giovanni Agnelli Development Pole, in Betim (MG) were tasked to create an all-new car, that would be a benchmark of the new phase of the FCA. While the pickup truck segment originated as a pure commercial vehicle niche, during the 70s and 80s more and more luxurious finishing features were included. However, when the Latam designers researched and analyzed the current customer demands, they found out that existing products do not meet all needs, and realized they needed to rethink the concept of a pickup truck, reaching a new level. “This becomes clear when you compare the design of a traditional pickup truck with the design of the Fiat Toro. With the dimensions and shapes better suited to the current customer demands, the volumes were reconsidered and optimized to balance shape and function.” Exterior Design The exterior is characterized by a bold, muscular design, with rugged plastic protections surrounding the entire body. Among the distinctive features is the split load bay tailgate, patented by FCA. The front end design represents a new design concept of Fiat. It introduces the Split Lighting concept, with the optical group divided into an upper and a lower assembly. The top one, integrating position and turning signal LED lights, has a serious look and conveys a sense of speed and elegance. The lower optical group, with the long range lighting functions, is integrated with the main grille, with horizontal bars. On the sides, the high waistline and muscular wheel-arches deliver a feeling of dynamism, strength and protection. “However, when we elevate the car’s waistline, we are increasing the visual mass, making it hard to keep things balanced, light and fast. Therefore, our team worked on different surfaces and the idea of faster and more sculptural vehicle was reinforced. Strength, speed, elegance and lightness. The Toro speaks for itself.” There was also a challenge in the rear design to innovate in a surface that is traditionally flat and in a separated cargo compartment. First, the way to open the back cover has radically changed. Then, the door was divided in two to provide a more practical and ergonomic use, something unprecedented in the segment. “The Wrap Around concept , which involves with speed and connects all the elements of the outer surface of the Toro uses this curvature and fully integrates the rear design to the rest of SUP, an exclusivity in the segment,” says Daniel Dozza Gerzson, lead designer of the Fiat Toro. As well as in the external design, Fiat was looking to combine strength and refinement: a combination between the needs of heavy lifting or urban light usage. The main concern of the internal design is to create the feeling of protection and comfort, with a lot of sophistication and technology. “We needed to provide comfort, refinement and quality to the vehicle’s interior, these are the items that SUV customers value and the medium-sized pickup trucks dot not offer,” adds Juliano Vilas Boas, lead designer of the Fiat Toro. The Wrap Around concept is also seen in the cabin. It involves with speed and subtly connects the body panel with the door panels. The strength is expressed in the frames of the ratio, air vents, climate controls, speakers and door handles, which were designed as if they were sculpted metal. The other features of the vehicle€™s interior follow the same design concept, combining strength with fluidity. As in the steering wheel, with a good grip ring and flat base, inspired in the competition cars. Not to mention the new seats and the position of the shifter, which also add the ability to provide more pleasure and sportiness while driving the Toro – unlike other pickup trucks in Brazil. The technology in the vehicle’s interior is present in 7 inches display in the cluster, as well as in the electric sunroof, dual zone digital air conditioning, air conditioned center console and other unusual refinements in pickup trucks. Colors and finishing The colors and the finishing of the Toro aim at achieving a balance between the strength, speed and elegance concepts. The metallic paint colors and the earthy tones underline the idea of robustness. The designs of the fabrics and the contrasts of colors provide modernity. And the refinement is clear in the care in the details as a whole. “It is important that the finishing convey the content package that we are providing to the customer on this pickup truck. To this end, we thought outside the box. A pickup truck do not need to a ‘brave’ finishing. We used provocative colors, and we created a warm and comfortable interior ambience,” says Valeria Carvalho Santos, Color & Trim designer at FCA. In the Freedom version, the greatest inspiration was the dynamism. The outstanding design of the car seat fabrics, the glossy black panel and the anodized silver details create the ambience for that consumer who wants a robust pickup truck, but different from the usual. The Volcano version expresses the achievements of the consumer who chooses a pickup truck for all occasions. The vehicle’s interior has two tones in the panel and details in metallic brown in the radio parts and in the fabrics, creating a friendly and strong atmosphere. The Opening Edition Special Series was inspired by the desire. The use of wine color elements in the panel and in the seats resulted in a luxurious and bold ambience. The range of external colors of the Toro was also designed thinking in the scenarios where the vehicle interacts, reinforcing the personality. The Horizon Brown, Tribal Red and Botanic Green colors are the highlight. The grille at the front painted in glossy black, in addition to chrome elements in the bumper, side moldings and door handles provide excellent finishing to the top-of-the-line models. The diamond wheels reinforce the grandiosity of the vehicle, as well as the steel crankcase protector in the Freedom Diesel and Volcano versions, providing more robustness. It is also worth mentioning the roof bars painted in silver aluminum, the mirrors in glossy black and the tinted flashlights. Design Team: Peter Fassbender – Head Design Latam Manuel Alexandre – Chief Exterior Designer Rafael Peixoto – Chief Interior Designer Alexandre Maxwell – Project Manager Fabio Bastos – Exterior Designer Daniel Gerszon – Exterior Designer Bruno Said – Interior Designer Artur Mello – Interior Designer Juliano Villas Boas – Interior Designer Valeria Santos – Designer Color and Trim Isabella Vianna – Chief Designer Color and Trim Marco Batista – Virtual Designer Leonardo Queiroz – Graphic Designer Celso Morass – Modelshop Paulo Nakamura
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scansione dall'ultimo num di Auto&design del progetto inziale 939 (qullo con gli scalini sul cofano tanto x intenderci...) io avrei preferito questo come restyling della 156 così da nn "bruciarsi" la 159....
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hanno mai pensato, nel corso degli anni, ad una sua evoluzione diversa dalla ecobasic dalla quale è poi nata la Panda II? Ricordo questa ricostruzione di 4 ruote
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Alfa Romeo Giulietta (940) - Design Story
nella discussione ha aggiunto The Summarizer in Alfa Romeo
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Dunque dunque, anzitutto voglio dire che, come domandai quando accennammo all'argomento in questione, non so bene dove mettere questo topic... perché l'auto oggetto del papiro ancora storica non è, anche se ahimè non la fan più da un pezzo. Però non è neanche un'auto di produzione da mettere nella sezione Fiat... o si può? Insomma oh... io lo metto qui. Mettevetevelo un po' dove vi pare :D:D Dunque dunque nr.2 mi si chiede di scrivere qualcosa sulla genesi stilistica del Fiat Coupè. Anzitutto signorina la ringrazio per la domanda. (come diceva.... lui) Dunque dunque nr.3 anzitutto bisogna dire che il progetto per il coupè Fiat, che in principio si chiamava progetto “coupè S” fu avviato all'interno del CS nel marzo del 1990, periodo in cui responsabile del Centro era Fioravanti, affiancato da Maioli nel ruolo di coordinatore del design Fiat Lancia ed Alfa. Nello stesso periodo l'incarico riguardante la sportiva Fiat veniva affidato anche alla Pininfarina. Il cosiddetto “coupè S” nasceva da un'idea di Bangle, il quale in seguito sarebbe diventato direttore dello stile Fiat prima di andare in Bmw. I primi schizzi, suoi e del suo staff, mostravano una vettura veramente “coupè”, cioè tagliata nella parte posteriore, con un lunotto che si estendeva al di sotto della linea di cintura. Tale trattamento era ancora visibile nei primi modelli in polistirolo, che evidenziavano anche la presenza del motivo dei tagli in fiancata fin dall'inizio, benché realizzato in maniera diversa rispetto a quello che caratterizzò la vettura finita. (da buon feticista mi chiedo cosa sia quella "roba" di sfondo nella prima di queste tre immagini...il pesante restyling Thema che si diceva esistesse prima della K? Sembra una mega VW Vento ) Altre foto migliori delle maquettes Bangle. Tale proposta non risultò soddisfacente dal punto di vista aerodinamico, quindi fu evoluta e fu preso in considerazione anche l'inserimento di un meccanismo che permettesse alla parte posteriore di sollevarsi per fungere da spoiler, soluzione che poi fu giudicata troppo complessa. Il passo successivo vide la nascita di un codino, un piccolo terzo volume che modificava sostanzialmente la vista posteriore rispetto ai bozzetti iniziali. Anche l'anteriore assumeva una connotazione differente: scomparivano i fari lisci e la griglia di tipo tradizionale, e venne inserita la soluzione del “cofango” (corpo unico per parafanghi e cofano), un'idea di Pininfarina che veniva portata avanti sulla spider Alfa Romeo e che fu ripresa da Fiat anche per il suo coupè. In questa maquette vediamo spuntare il cofango ma manca ancora il codino. In questo bozzetto di Basso invece vediamo comparire il terzo volume con già un'idea di fanaleria a doppio tondo o ovale sovrapposto. Va detto che esisteva un'altra proposta, sempre dal CS, più tranquillla, che venne elaborata in due interpretazioni diverse. Alla presentazione delle prime proposte, nel gennaio del 1991, Fiat si dimostra orientata verso il modello di Pinin, che presenta un approccio fortemente diverso da quello espresso dal CS. Le forme sono al passo coi tempi ma l'impostazione è classica, con riferimenti a sportive passate e presenti (in particolare all'epoca si sottolineava una reminiscenza Ferrari Dino all'anteriore e Ferrari 456... che bene o male era in dirittura d'arrivo... come quarto posteriore). Una proposta più facile da assimilare insomma. (qui sopra a dire il vero io ci trovo qualcosa di molto piacevole per i tempi... normale ma molto piacevole... questa qui a destra io avrei voluto vederla in strada...) Andando a spulciare, si trovano tre differenti maquettes di Pinin. Questa, di cui purtroppo non abbiamo la vista anteriore... Quest'altra con fari ovali di cui invece ci manca il posteriore... E la terza, che viene presentata come quella scelta da Pinin per la sfida. (qui sopra con spoiler posteriore, e qui sotto in foto migliori con i cerchi definitivi del Coupè) I designer Fiat comunque proseguivano nello sviluppo del loro modello, con risultati per certi versi eclatanti e un'originalità formale che venne premiata. Cantarella infatti volle un prodotto innovativo e il nuovo Coupè così come era proposto dal CS Fiat rispondeva a questi requisiti. Così c'è il ribaltone, il CS torna in scena alla grande e la sua proposta viene eletta a sviluppo finale del progetto; così la Pininfarina trasferisce le verifiche tecniche di cui era incaricata sul modello Fiat, e siamo nel maggio del 1991. A questo punto riportiamo il pensiero dell'Ing. Nevio Di Giusto, che aveva seguito il progetto dal gennaio 91 come responsabile del CS Fiat e dal maggio del 92 come coordinatore dei tre Centri Stile del Gruppo (succedendo a Maioli), che spiega quali furono i criteri che motivarono questa decisione. “Non era questione di scegliere il modello più bello, o di fare dei confronti su basi puramente estetiche. La proposta di Pininfarina era molto curata, lineare, com'è tradizione dell'azienda, e probabilmente si prestava ad interpretare un marchio classico come, ad esempio, quello Lancia. Invece volevamo un po' di rottura, rinnovamento, aggressività anche, per dimostrare che il coupè poteva essere interpretato in modo nuovo. Il cofango, ad esempio, elemento molto apprezzato della vettura, è un messaggio ben preciso, un oggetto funzionale assai complesso, che funge da cofano, da parafango e da alloggiamento per i fari.” La soluzione scelta per i fari anteriori fu dettata da esigenze tecniche. Una volta stabilito il telaio, lo stesso della Tipo (sempre lei ) e definiti i parafanghi arrotondati, il faro doveva sporgere, proprio perché prosecuzione della curva del parafango stesso. Non si volle ricorrere ai fari a scomparsa perché ritenuti una negazione della sportività, pesanti e penalizzanti per l'aerodinamica. La doppia cupola che ricopre i proiettori fu quindi una scelta naturale, con molta attenzione alla forma ed uno sguardo al passato, ricordando da vicino la calotta ad “unghia” che riparava i fari delle vecchie sportive Ferrari come la GTO. Un riferimento storico analogo era rintracciabile anche per le luci posteriori e, ad osservare bene, per il trattamento della fiancata: molte sportive degli anni 50-60 presentavano linee del parafango di altezze diverse che si incrociavano all'altezza della porta, e la Fiat 8V del 1952 è una delle prime che vengono spontanee da ricordare. Le luci posteriori tonde erano anche un richiamo alle Ferrari, benché non fossero affiancate orizzontalmente. I designer non volevano dei fari piatti, e preferirono inserirli annegandoli nel breve volume di coda. A tal proposito sentiamo ancora Di Giusto: “Gli elementi che rappresentano un richiamo al passato, i fanali anteriori e posteriori ed il tappo della benzina, sono facilmente identificabili nel contesto di una superficie pulita.” La maniglia della porta, posta in alto, sul montante, per non turbare la linearità della fiancata là dove una normale maniglia a scomparsa avrebbe intaccato l'integrità della lamiera, era un esempio di questa filosofia e, al tempo stesso, di quella ricerca di funzionalità ed ergonomia propria dell'interpretazione Fiat del tema sportivo. Giusto in tema di funzionalità, per ottenere una luce d'apertura del bagagliaio di ampiezza soddisfacente, i designer rinunciarono alla soluzione che prevedeva la prosecuzione del taglio della fiancata sulla coda della vettura e lo sdoppiamento dei due motivi della fanaleria, uno sulla lamiera ed uno sul paraurti, perché ciò avrebbe comportato una battuta del portello molto alta, seguendo l'altezza della giunzione fra paraurti e lamiera. Il portellone fu invece scartato in primis, perché la rigidità torsionale doveva essere un presupposto imprescindibile. Parlando di interni, delle varie proposte abbozzate dal CS Fiat, una fu portata in tridimensione. Le linee erano molto tondeggianti, in accordo con la prima tendenza del design esterno. Ma presto tale proposta venne abbandonata in favore dell'allestimento disegnato da Pininfarina, che subito raccolse consensi unanimi (e lo credo... a titolo personale resta il più bell'interno Fiat degli ultimi 30 anni... ogni volta che la guardo mi ci perdo.. forse per me non solo parlando di Fiat... forse in generale è uno degli interni che ho amato di più... veramente stupendo). Riguardo la fascia in lamiera in tinta veicolo che dal cruscotto andava a correre sui pannelli porta, è da citare un aneddoto. Tale fascia era nata come prerogativa per il modello proposto da Pininfarina (non di interni, il modello vero e proprio, quello scartato perché troppo classico) che aveva una linea di cintura più bassa. In pratica questa fascia correva subito sotto il vetro, collegandosi attraverso di esso alla lamiera esterna della porta. Scegliendo il modello del CS Fiat, tale fascia fu conservata ma vista la cintura un po' più alta, divenne un inserto nel pannello, perché quest'ultimo andava a lambire il vetro con un bordo di plastica superiore. Riguardo la costruzione, il Coupè venne poi realizzato integralmente in lamiera con l'industrializzazione da parte della Pininfarina, che la produceva a Grugliasco. Il progetto comunque in una prima fase aveva preso in considerazione l'utilizzo di resine termoplastiche ed alluminio. La storia raccontata da Auto & Design si concludeva poi con una puntualizzazione che casca a pennello con alcuni discorsi che facevano l'altra sera, riguardo la possibilità di attribuire o meno la paternità di un progetto ad un unico designer oppure no. A&D infatti definiva un po' riduttivo riferirsi al Coupè Fiat come “il coupè di Chris Bangle”, perché come ogni auto, era il frutto del lavoro di una equipe. Chiudiamo con la dichiarazione di Peter Davis, direttore del design Fiat al momento della stesura della Design Story. “Secondo me Coupè Fiat è un messaggio dello Stile Fiat al mondo del design dell'automobile. Un messaggio che ha fatto discutere, ma ha suscitato ammirazione da parte di molti designer. Si potrebbe paragonare ad un quadro: esiste la tecnica 'fotografica', ma c'è anche Andy Warhol.” The end GTC :saggio
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Alfa 164, lo zampino Tipo 4. Una gestazione estenuante!! - Design Story
nella discussione ha aggiunto PaoloGTC in Auto Epoca
Il progetto dell'Alfa 164 è forse uno dei più complicati, come gestazione, tra quelli che abbiamo avuto nella storia recente dell'auto italiana. In casa Alfa c'è un precedente con la 6, e ai tempi veniva quasi da dire che ogni alto di gamma che nasceva alla casa del Portello, fosse un parto che sconquassava tutto. Per la 6, il “casino” era tutto interno, per la 164, come sappiamo ci fu lo zampino Fiat. Partiamo dall'inizio, e subito voglio citare come fonte lo splendido libro di Domenico Chirico “L'Alfa e le sue auto”, che si sofferma molto su questa particolare vicenda. Penso che molti di voi l'avranno letto e quindi le cose che scriverò non saranno una novità, ma scrivo il tutto per fare una storia completa. (e poi io ho qualche foto in più) La storia della prima berlina alto di gamma Alfa a trazione anteriore, affonda le sue radici nella seconda metà degli anni 70, quando in realtà, l'idea era... tutta diversa. Si era sotto la direzione Surace, e Chirico racconta della prima, breve nota del 1980, diventata poi un fascicolo nel 1981, dal titolo “Scelte di impostazione delle vetture 154 e 156”. Queste due vetture avrebbero dovuto sostituire la Giulietta e l'Alfetta, rispettivamente. La considerazione principale era che le due vetture avrebbero dovuto rimpiazzare la meccanica 116 (Alfetta) condividendo fra loro parecchie componenti al fine di abbassare i costi. Era prevista una revisione del motore a quattro cilindri, considerato obsoleto, e pure le attrezzature produttive avrebbero dovuto essere il più possibile condivise fra i due segmenti. Di conseguenza, la decisione di progettare insieme le due famiglie di modelli, con la previsione di utilizzare poi tale pianale anche per i derivati sportivi delle due auto. Riguardo ai motori si prevedeva di: -revisionare il progetto del motore a quattro cilindri, avendo già sotto collaudo le nuove teste che davano buoni risultati e che sarebbero arrivate solo parecchi anni più tardi, denominate Twin Spark -utilizzare il neonato 6 cilindri a V -fare affidamento sui 4 e 5 cilindri VM per quanto riguarda i Diesel, visto che VM come Alfa era sotto il controllo Finmeccanica e quindi IRI. Gli studi stabilirono la necessità di poter disporre di un cambio a sei marce, per ottenere buone riduzioni di consumi nella marcia autostradale, e ravvicinare gli altri cinque rapporti per mantenere una brillantezza consona al marchio. Si prevedevano auto più larghe di Giulietta e Alfetta, per accogliere meglio il terzo passeggero posteriore. Anche la lunghezza era in aumento, per consentire una superiore abitabilità longitudinale. Questo capitolato, in sintesi, parlava di lunghezze di 4,25 metri per la 154 e 4,5 metri per la 156. Riguardo al coefficiente Cx si pensava di stare sullo 0,36... ma la visione della nuova Audi 100 che dichiarava uno 0,30 fece pensare di rimettersi al lavoro su questo frangente. Si era così al 1980, e le cose sembravano marciare nel verso giusto, visto che addirittura il settore autotelaio era arrivato ad ordinare la costruzione dei pezzi per il cambio a sei marce, in vista dei collaudi. Purtroppo della 154 non resta nulla da vedere, mentre la 156 venne costruita, in principio a livello di maquette per la galleria del vento, ed in seguito anche in alcuni esemplari marcianti, che vennero fotografati da 4R. Il fatto degli esemplari marcianti vale anche per questo periodo, anche se Chirico la cita come marciante solo in seguito, quando ne vennero costruite alcune per cominciare i collaudi 164. A sentir lui, ai tempi era solo una maquette, ma 4R la fotografò mostrando una persona alla guida e l'auto visibilmente in movimento, quindi almeno una funzionante c'era. Fonte: Quattroruote 1983 Per questo post mi fermo qui, altrimenti diventa un mattone. La storia è lunga, fra poco proseguo.- 442 risposte
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